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Pubblicazione su Rivista OLTRE

n. 199 - p. 44/49

Colore senza metafore

Cromie al netto di narrazioni, punto di arrivo di materia e luce

Dalle pareti dello studio brillano colori intensi: sono blu, rossi, gialli, verdi che segnano orizzonti da cercare oltre il limite della tela. L'artista dispiega sul grande tavolo di lavoro le opere che non sono appese: da vicino la percezione del colore è ancora diversa, si leggono le stratificazioni, le sovrapposizioni, i lavaggi e le colature che definiscono il risultato finale. Ci sono anche i neri, inattesi, meno saturi dei primari e quindi molto mossi di luce.

Grandi tele a monocromo sono astrattismo radicale, purificato persino dalla linea e dalle variazioni di colore. Grandi tele a monocromo sono l'esito di un processo creativo gestuale, in cui la mano crea mentre tinge saturando il colore e annullando lo spazio e la forma. Si può pensare, come per l'arte astratta in genere, che opere di questo tipo siano l'esito di un processo squisitamente razionale, da intercettare anche per fruirne e per capirle: nessuna narrazione, nessuno spazio e nessun tempo. Espressionismo e astrattismo sono etichette utili e facili: non c'è la forma e il colore ha una forza anche emotiva.

La storia, invece, sa essere più semplice e più affascinante se si comincia a riconoscere che un monocromo blu è un blu. Punto. Senza trascendenza, senza razionalità tra le tracce del pennello. È un blu. Punto. Nel senso che vive del colore come materia e come luce ma alleggerite dalla ricerca della metafora a tutti i costi. L’approccio all'arte astratta è sempre condizionato anche giustamente - dall'impegno e dall'ansia di trovare snodi di senso; allo stesso modo, però, va data la possibilità che oltre il colore ci sia soltanto il colore, che quello che si vede sia soltanto quello che si vede senza la pretesa che diventi concettuale, che l'artista, infine, non sia mosso semplicemente dal sacro fuoco dell'ispirazione ma anche dalla pratica del gesto, dalla concretezza della materia, dalla manualità dei processi creativi più che dalla loro trascendenza. Ma non per questo il monocromo blu perde significato: è colore senza che il colore debba veicolare altro. E in un certo senso sembra una liberazione. Non una banalizzazione, ma una liberazione dalle sovrastrutture critiche sia di chi crea l'opera, sia di chi la fruisce, dove la complessità non va ricercata nel non-detto ma nelle scelte del processo creativo che interessa l'opera, dalla carpenteria della tela agli strati finali della pellicola pittorica. Per rendere ancora più chiaro questo, Davide Marega, artista di cromie assolute, ha chiuso tra virgolette i suoi blu (e i suoi rossi, i suoi gialli, i suoi verdi): un discorso diretto, "questo è un blu". Punto.

Questo è un blu che segna anche la sua storia. Davide Marega (Voghera, 1988) si è formato all'Accademia di Brera. Corso tradizionale, piano di studi dal disegno alla pittura, prima i modelli dal vero, poi l'influenza dei maestri di Brera: Italo Bressan dal quale ha visto poca forma e Piermario Dorigatti dal quale ha visto molto colore. Astrattismo ed espressionismo. Ma se è rintracciabile nel confronto con i maestri la matrice di un linguaggio che somma astrattismo ed espressionismo appunto, ad essa vanno innestati i passaggi successivi che definiscono la sua dimensione di artista e la sua personalissima ricerca. Cosa si sovrappone all'insegnamento e agli esempi degli insegnanti? La gestualità, innanzitutto, che il giovane artista esercita per portare all'esterno una forza poco distinguibile: istinto vs razionalità.

Poi, l'ansia di perfezionismo nell'uso del colore: il monocromo è l'approdo di una pittura che si genera esclusivamente dalle cromie e che non può prescindere da una conoscenza scientifica del colore stesso, materia e luce.

Infine l'oggetto opera d'arte come lavoro di carpenteria, tessuto e legno. L'atelier di Marega nel centro di Voghera è voluto e vissuto alla stregua di una bottega rinascimentale in cui convivono astrattismo e artigianato e gesti di manualità antica preludono a gesti di istinto creativo: la preparazione del telaio e della tela secondo la ricetta antica. La scelta della tela - condizionata dalla tipologia di trama - la costruzione del telaio, la preparazione e la stesura dell'imprimitura (colla di coniglio e gesso in polvere). Una dimensione di bottega dove si fa tutto come richiamo a quella sapienza del fare che, costruendo il dipinto a partire dalla sua fisicità, arricchisce di consapevolezza la ricerca artistica e la preserva dal rischio della superficialità.

Sul tavolo da lavoro e sulle pareti dell'atelier ci sono anche altre opere, distanti per soggetto e per tecnica dai monocromi. E non solo per la presenza della figura. Si riconosce lo stesso paziente lavoro di ricerca - come suggerisce anche la presenza di un torchio - lo stesso investimento in sperimentazione che Marega riserva ai grandi dipinti. È la grafica, eseguita con le tecniche più tradizionali come l'acquaforte, ma anche con matrici non consuete come il plexiglas che consente effetti di trasparenza e stratificazione per realizzare paesaggi, figure, animali fantastici come nei bestiari medievali.

Queste forme della natura convincono che l'arte Davide Marega non è astrazione pura anche quando è solo colore perché il colore dà corpo e vive da sé, è creato per suggerire le medesime visioni. I monocromi sono, di fatto, paesaggi, orizzonti che prendono consistenza a seconda della natura e della luce da cui è avvolta: terre i rossi e i gialli, prati i verdi, marine i blu. Paesaggi consueti che suggeriscono il lavoro dell'artista: la pianura padana e il mare. Il colore saturo è piatto solo in apparenza: una cromia unica che si genera da stratificazioni e sovrapposizioni, effetti di movimento attraverso cui la luce filtra e strappi che la fanno vibrare. Il lavoro del pittore è una gestualità sapiente nella fase esecutiva e una squisitamente teorica nella fase progettuale, quando va scelto il colore. O meglio cercato, approntato, provato attraverso la preparazione: impensabile usare un colore già pronto, che prelude ad un effetto finale pensato e voluto altrove e attraverso tecniche condotte da altri. Paesaggi consueti che suggeriscono più che ispirare, perché tanta manualità ben si addice al lavoro costante, essenziale alla crescita, al cambiamento e alla conquista dell'emozione altrui.

Manuela Bonadeo

Fondazione Biscozzi Rimbaud - la collezione

pubblicazione - 2021

Orizzonti dell'altrove

pubblicazione su nuova meta n.40, 2018 | foto della mostra Biblioteca civica di Buccinasco | 30 novembre - 13 dicembre 2017

"Un clima di misurata sospensione dello spazio caratterizza i recenti dipinti di Davide Marega che, dopo gli anni di formazione all’Accademia di Brera, sta affrontando con serietà e rigore il tormento del fare pittura, esperienza parallela all’attività di restauratore. L’artista usa l’olio su carta che - nelle grandi dimensioni - viene in seguito foderata per stabilizzare il corpo del colore e il suo pieno assorbimento, diverso è il trattamento nelle piccole dimensioni dove la consistenza della materia mantiene rigida e inalterabile la superficie. Attraverso successive velature, il pittore ottiene la luminosa profondità dell’immagine, l’ampia decantazione del colore, scegliendo – volta per volta- di affidarsi a un’atmosfera lucida oppure opaca. Con metodo disciplinato Marega affronta lo spazio del paesaggio come rivelazione degli stati d’animo che esprimono le risonanze cromatiche e le loro corrispondenze sensoriali. Gli orizzonti sono talvolta delineati e visibili, in altri casi affidati a minimi sfioramenti, graduali mutazioni che danno corpo al vuoto con soffi di luce e aliti d’aria. Lavorando sul valore delle stratificazioni, Marega ama mettere e togliere colore per sensibilizzare l’epidermide dell’immagine lasciando affiorare tracce d’ombra e brevi bagliori, lievi sonorità da percepire lentamente con gli occhi della contemplazione. In questa mostra sono documentati gli esiti dell’ultimo periodo di lavoro, paesaggi immaginari dove l’orizzonte è evocato come misura sottile e impalpabile che trattiene le trasmutazioni del colore, sopra e sotto la linea che s’interpone tra la terra e il cielo, tra il cielo e l’acqua. Il paesaggio è apparizione senza limiti, luogo d’emanazione di sensazioni cromatiche che la memoria registra e trasforma nella pienezza della luce: la pittura dialoga con il mistero dell’ombra, e questo avviene soprattutto quando tutto si fonde nella dimensione del notturno. Tra le dominanti luminose, il rosso interpreta l’ardore calante del tramonto, l’azzurro accoglie lo schermo trasparente dei pensieri, il blu capta i riflessi segreti del mare, mentre il verde è denso e vibrante per evocare le voci della natura. Quando il giallo contrasta con il viola, le vibrazioni debordano oltre i perimetri stabiliti e il paesaggio si disgrega animando l’immagine con visibili striature, lievi cangianze della luce. In questo senso, Marega è interessato al farsi della materia, al processo che dà sostanza al volto sospeso del paesaggio, sensazione che sconfina nell’indeterminato stupore della totalità, visione vissuta come viaggio oltre l’orizzonte, tensione del colore in cerca dell’altrove"

Claudio Cerritelli